articolo di Wanda Cronio
Ci sono cose che esistono per ricordarci che vivono e che vivranno più di noi.
Come una piramide per esempio, la cui grandezza non deriva dall’essere una dimora di rango reale, ma dall’incastro delle sue pietre che da millenni si oppongono alla forza di gravità.
Nello stesso modo, anche la rovina di una casa contadina, col suo profilo mordicchiato dal tempo, è a tutti gli effetti un monumento.
Ciò che la rende grande è la sua capacità di resistere “appesa” al tempo.
In modo enigmatico, nello squarcio di mondo misterioso che si apre al di là e al di qua dalle sue finestre, si percepisce un mormorio di fantasmi, racconti indecifrabili che arrivano apparentemente dalla voce dei grilli e dagli spifferi di vento.
Ma sono le pietre a parlare, piano e incessantemente, di cose sepolte e invisibili.
Avventurarsi tra le rovine di dimore abbandonate, camminare sui detriti e sulla polvere di muri diroccati, è un’esperienza del sentimento del tempo che anche a un bambino racconta qualcosa sullo spessore del mondo.
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